Come un video musicale può diventare la metafora della tua vita

Le relazioni a distanza sono un vero casino.

Chiunque ci arriverebbe, se glielo si domandasse a bruciapelo. Che cacchio stai assieme a qualcuno se non puoi vederlo, toccarlo, annusarlo ogni volta che vuoi? Che senso ha stare separati? Detta così, sembrerebbe quasi che esista solo l’essere amici o l’andare a convivere.

In realtà, come spesso succede, esistono mille sfumature diverse tra un estremo e l’altro. Esiste lo stare assieme da poco e rompere perchè la distanza pesa troppo, esiste l’essere collaudati ma dover affrontare sei mesi all’estero, esiste lo scriversi tutti i giorni e vedersi una volta la settimana, esiste il vivere uno a Bologna e l’altro a Modena, che saranno una cinquantina di chilomentri, ma significano comunque un treno o un viaggio in macchina apposta.

Nel mio caso, avere una relazione a distanza significa essere innamorati di una bellissima ventenne che abita a Milano, mentre io, Triestino di origini venete e adozione spagnola, penso a lei a 400 chilometri di distanza. Distanza che si colma una volta ogni due o tre settimane, per qualche giorno in cui i suoi mi ospitano e mi sopportano, o qualche giorno in cui io tento di farla vivere il più felicemente possibile in quella caverna post apocalittica che chiamo casa.

Spesso, nella musica, mi rendo conto di operare una specie di doppio standard. Mi metto magari a giudicare ridicolo chi trae ispirazione da una canzone indie (solo perchè non mi piace il genere), ma finisco per sbandierare la profondità di pensiero delle canzoni rock – nonostante siano, per la stragrande maggioranza, inni allo scopare il più possibile, fare festa sempre e comunque, o bere come draghi. Quindi, nonostante ami spacciarmi come custode del folk, protettore del vero metallo, profeta del punk e sacerdote del quattro quarti, mi sono scoperto più di una volta ispirato e galvanizzato da canzoni pop.

E in mezzo ai vari Backstreet Boys, al Ricky Martin degli anni 90, gli Aqua e Lou Bega che ancora continua a dirmi che il Mambo migliore è il numero 5, c’è ‘sto video di Robbie Williams in cui lui non fa altro che correre come un matto. In mezzo alle relazioni, ai problemi della vita, i momenti di ristagno, quelli felici e quelli depressivi.

Io adoro correre. Mi piace, quando la musica spinge a un volume più alto del normale nelle orecchie, trotterellare a ritmo, o addirittura correre seguendo la batteria. Mi piace sprintare a freddo quando vedo l’ombra dell’autobus che sta arrivando, così come riprendere fiato dopo aver raggiunto il vagone del treno in partenza. E nonostante non sia più un ventenne con le cellule che si rigenerano più velocemente di quanto non si degradino, mi viene ancora da pensare a sto fuoco che mi parte dal petto e mi scorre verso i muscoli delle braccia e delle gambe.

Robbie Williams, ritratto a cartoon con una tuta superaderente, corre.

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Attraverso deserti, pianure, boscaglie e centri città. E io non so se il cortometraggio percorra la vita passata dell’artista, ma un po’ me lo vedo, a essere sempre ottimista e sorridente nonostante le mille avventure e disavventure che gli succedono. Lui rimane sempre sè stesso, un tizio che corre ed esprime il suo essere tramite la corsa, ma a volte trova qualcosa che lo ferma e gli fa gestire la sua vita in modo diverso.

Quindi all’inizio si ferma in una relazione sessuale ed intensa con una che magari è troppo ‘radicata’ per essere la donna della sua vita. Poi ne trova una che lo conduce a una vita sedentaria, in cui smette di prendersi cura di sè, fino a vedersi correre su un tapis roulant – metafora del fare una fatica boia, senza andare davvero da nessuna parte. Infine, arriva una delusione amorosa da qualcuno che balla assieme a lui, ma che poi si dimentica della relazione e si allontana perchè è più importante sculettare che farlo in compagnia.

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E badate bene, nessuna tra queste ragazze era magari stronza, brutta o malvagia: semplicemente, ognuna di esse non era ‘giusta’ per il ragazzo che corre. E per ognuna di esse c’è stato il primo sguardo, l’innamoramento, l’unione, ma col passare del tempo, qualcosa non ha funzionato, e l’artista deve per forza proseguire con la sua vita alla ricerca di questo ‘qualcosa’ che lo completi.

Nel ritornello, ogni volta, ci sono queste parole: ‘Se hai voglia di cambiare il mondo, lascia che l’amore sia la tua energia’. Ogni volta che vuoi far ripartire la tua vita, trovare la forza per scrollarti di dosso qualcosa di pesante che non è più compatibile con te, l’amore è sempre la chiave. E va bene essere tristi, e va bene separarsi, l’importante è non smettere mai di correre, anche se sei più lento del solito. O piove, e non hai le scarpe adatte.

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E improvvisamente, quando ogni speranza sembra perduta e la fiamma comincia a spegnersi, appare lei. Così bella, luminosa, vitale, diversa da ogni altra cosa vista prima, che il momento in cui entra in scena coincide con un urlo selvaggio e liberatorio dell’artista, che addirittura pronuncia la strofa un’ottava più in alto, ‘svegliando’ tutti gli strumenti musicali e dando fiato ai polmoni come se avessero il doppio della capacità, senza una spiegazione logica. Ecco, io a vedere Francesca la prima volta, mi son sentito così.

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Qualcosa, però, interrompe quest’unione. Le responsabilità, la distanza, gli impegni, l’università, il lavoro, appaiono come un muro in movimento, invalicabile, impossibile da schiantare a spallate.

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E questo non potersi vivere genera rabbia e frustrazione, e sembra far dire ‘non ne vale la pena, non ha senso crederci’. Ti trovi a incazzarti, a litigare, a essere lì lì per gettare la spugna. A piangere e urlare, a dire cattiverie, inveire contro il mondo.

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Come dico spesso, però, non esiste un solo modo per affrontare un ostacolo. Lo si può scavalcare, ci si può passare sotto, si può farlo saltare in aria, o si può aggirarlo.

E l’amore per questa ragazza, la curiosità, questa spinta vitale, diventano così immensi nell’artista, che diventa in grado di attraversare i rovi.

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Di scalare i muri e percorrere i grattacieli in verticale, arrivando fin sopra le nuvole, lì dove c’è ancora sole.

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Lì arriva la consapevolezza: va bene far compromessi, va bene essere diversi nella pettinatura o nel modo di vestire, ma le cose importanti vanno fatte insieme. E finalmente io, così come l’artista, ho trovato semplicemente una persona con la quale correre assieme. Da guardare da lontano sorridendo, mentre ci si dirige verso un punto comune.

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Qualcuno di così bello e importante che mi fa venir voglia di correre nudo sopra le montagne, mentre mi avvicino a lei. Qualcuno con cui scopare sul tetto del mondo mentre tutto il resto esplode, qualcuno con cui fermarsi assieme a guardare il panorama, qualcuno con cui ripartire tenendosi per mano.

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E io per questo, sono in questa relazione a distanza. Per tutto questo, sono innamorato come un bambino, penso al futuro per la prima volta con speranza, e mi tuffo da distanze incredibili senza pensare al paracadute: perchè ho qualcuno accanto che, per la prima volta nella mia vita, sembra dare un senso a ogni mio sforzo e ogni mia battaglia. Perchè non è nella porta accanto, non è qualcosa su cui ripiegare perchè la distanza fa schifo e non si può sopportare, ma è qualcuno che è bello guardare in lontananza, e di cui apprezzare ogni particolare quando è tra le mie braccia che ride per qualche puttanata.

E io non posso far altro che dire grazie, che sorridere, che essere felice, che far uscire da ogni poro questa cosa che mi esplode dentro ogni volta che mi bacia. Non ho idea di cosa mi porterà il futuro, non penso di essere arrivato da nessuna parte, ma è bello sapere che da qualche parte, nel mondo, esiste qualcuno che mi fa correre in verticale sopra i grattacieli.

If you’re willing to change the world, let love be your energy.
I’ve got more than I need, when your love shines down on me…

 

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