Il Cipresso, L’ Acero e L’ Abete

Purtroppo o per fortuna, non posseggo la Fede.

L’ho avuta, probabilmente. O magari era solo autoconvinzione. Ancora, può essere che chi fosse fedele abbia visto in me qualcosa che non c’era – o che io abbia davvero avuto qualche contatto con qualche entità superiore, e alcuni ci hanno dato un nome che per me era privo di significato.

Mi fa sempre strano vedere e capire come la gente affronta la dipartita di qualcuno che ama. Sia esso un parente, un amico, o un conoscente, c’è sempre questa consapevolezza, grossa quanto un macigno, che quella persona non esisterà più come tu sei abituato a percepirla. Non esisterà più la sua voce se non registrata, non esisterà più il suo caratteristico odore. Nessuna sedia sentirà più il suo peso, nessun orecchio la sua risata. Semplicemente, da un giorno all’altro, da un MOMENTO all’altro, questo qualcuno cessa di esistere, lasciando un vuoto che riesce a colmarsi solo col tempo.

La Morte alcuni la chiamano ‘la grande consolatrice’. A me fa sempre sorridere questa definizione, perchè in effetti io la incontro sempre le rare volte in cui, nella mia vita, riesco a piangere.
Dopo un funerale anni fa, mio padre mi disse che io ero il primogenito, che dopo di lui sarò io il caposaldo a cui la famiglia farà riferimento in queste occasioni, e che quindi almeno io devo prepararmi ad essere inflessibile, incrollabile. Devo essere la roccia a cui la gente si appoggia, il consolatore anzichè colui che viene consolato. Piangere è vietato. Ed evidentemente, nel mio collasso emotivo e nelle mie lacrime, quando ero più vulnerabile e scoperto, questa frase deve essersi insediata, e deve essere stata sepolta assieme a tutto il resto dove non posso più raggiungerla. Perchè in qualche modo non riesco più a piangere, mai.

Nè dopo una litigata, durante un disastro, quando qualcuno mi tratta male o mi ferisce dicendo qualcosa di terribile. O nemmeno durante i momenti più emozionanti e belli, nei concerti o quando riabbraccio qualcuno dopo anni. Riesco a sentire solamente la testa piena di pensieri, le gambe deboli, il cuore che diventa irregolare, e una cosa nella gola che diventa dura come un sasso e mi impedisce di deglutire e respirare bene. Ma anche se gli occhi diventano lucidi, anche se sono solo in casa e VOGLIO piangere, mi è impossibile farlo, qualcosa si blocca e non riesco in nessun modo a forzarlo. E’ una cosa che a volte mi ha fatto sentire un mostro e non ho mai risolto nemmeno in cinque anni di psicoterapia.

La morte è una delle rarissime occasioni in cui tutto questo viene a rompersi. Quella bordata di dolore è così intensa, definitiva ed insopportabile che squarcia il petto e lascia in preda alla disperazione. C’è la consapevolezza ineluttabile che niente sarà più come prima. E quel momento ti si fissa nella memoria in modo indelebile, venendo associato a un’immagine, un episodio, o una canzone. I funerali diventano contemporaneamente un’ occasione in cui ‘non dovrei’ piangere, e una delle pochissime in cui ‘riesco’ a farlo.

Di Mario ricordo la risata e la storia vitale squinternata. Al suo funerale, mi ritrovai a piangere mentre stavo qualche passo indietro alla famiglia, che non versava una lacrima e aveva uno sguardo preparato e consapevole, come qualcuno che sta per affrontare una scalata immensa ma sa di averne già superate tante. Provavo un rispetto incredibile per loro, il cielo era grigio, e in mezzo al nero dei vestiti e il verde dei cipressi, distinguevo un sacco di colori diversi.

Dei miei parenti ricordo un’infinità di cose. Alcune sono così intime che persino in queste pagine, dove di solito riverso ogni cosa, non riesco a trovare loro un posto adatto. Ricordo le gite assieme, i pranzi dove si finiva a urlare mezzi ubriachi, le celebrazioni in parrocchia o le visite a qualche museo. Elena che mi stringeva le spalle mentre avevo i fiori in mano, Joe nel suo letto che singhiozzava. Ricordo che le bare erano pesanti, che i corpi erano freddi. Ricordo lo sforzo nel riuscire a concepire che un morto non sente più nulla. ‘Siamo sicuri che la mamma ha abbastanza spazio? Mi sembra scomoda lì dentro, prendetele un posto più grande’.

La gente scherza, ai funerali. Tutti quanti sono privi di quella patina di stronzate sociali che siamo soliti portarci addosso. Paradossalmente riesci a trovare più vicine le persone in quelle occasioni che non ai matrimoni, perchè la felicità si può fingere, il dolore è più difficile da gestire.

Una delle persone a cui penso più spesso è una mia amica spagnola, matta come un cavallo e splendente come una stella. Mamma di due bambini bellissimi, minuta, sempre col sorriso sul volto. Potevo prenderla in braccio da quanto era piccola. Era svampita, rideva in continuazione, portava colore in ogni cosa toccasse. La adoravo, era un esempio per me; a guardarla ero sempre felice, perchè pensavo ‘si può essere adulti anche se si è svalvolati’. Volevo essere come lei. E un incidente del cazzo l’ha portata via per caso, lasciandomi solo una sensazione di vuoto e le note di una canzone. ‘Forever young, i wanna be forever young’. Gli dei sanno quante lacrime ho regalato all’oceano, seduto sulla punta del molo audace, mentre ascoltavo quella strofa in loop, come se potesse dare un senso all’accaduto. Credo me l’abbia fatta ascoltare mia sorella, la prima volta.

Mentre cerco di rimettere assieme me stesso nel pieno della divagazione, arrivo al centro del discorso: la gente affronta la morte in mille modi diversi. C’è chi pensa che le nostre molecole si disgregheranno per andare a formare nuove vite e nuovi corpi, chi è convinto che torniamo ad essere pura energia in comunione con gli astri, e chi fa affidamento al paradiso e alle braccia di un dio benevolo che tutti accoglie.

La mia ragazza mi ha insegnato una cosa bella, in questi giorni, ed è il valore di pensare a quanto sia bello il Natale. Non tanto come ricorrenza religiosa, nè come modo per spendere centinaia di euro. Ma come atmosfera, come tradizione che porta solo sorrisi, come addobbi, colori e momenti di comunione con una famiglia che magari troppo spesso è teatro di bisticci. Come neve, come periodo di vacanza dai pesi della routine, come grossa occasione per pensare a qualcuno che non senti o vedi da tempo.

Tutto sto mare di parole – tutti questi concetti pressati assieme, la morte, l’amore, la musica, le festività, il dolore e le risate – sono scaturiti da un video pubblicato il diciannove dicembre su YouTube. Non penso sia necessario dire niente per presentarlo, quindi ve lo metto qui sotto di modo che possiate magari cavarne qualcosa di buono. E non so cosa arriverà a chi, e mi dispiace se sto post alla fine non ha un capo, una coda, e presenta un mare di sensazioni ed emozioni che faccio fatica a tenere tutte insieme. Ma è come se mi fossero cadute fuori, quindi il minimo che mi son sentito di fare, è tradurle in scritto.

Tutto questo è dedicato a Mario, nonna Mariuccia, nonna Gina, zio Albino, Monica, zio Mario, e tutte le persone che ho conosciuto e non ci sono più. Ovunque voi siate, foss’ anche da nessuna parte, grazie per tutto ciò che mi avete regalato.

 

2 pensieri su “Il Cipresso, L’ Acero e L’ Abete

  1. Bello… Molto bello. Posso dire di sentire la stessa emozione, quando sono triste e magari me lo porto dietro da molto tempo, il non riuscire a piangere è brutto. Come sempre descrivi le emozioni MOLTO bene. Grazie per la condivisione di questi pensieri Max. La vita va avanti lasciando dietro persone, ricordi, fatti, amicizie, legami e molte altre cose. Ma è la vita, in qualche modo va sempre avanti.

    "Mi piace"

Lascia un commento